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THE BLACKOUT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 maggio 1997
 
di Abel Ferrara, con Matthew Modine, Dennis Hopper, Béatrice Dalle, Claudia Schiffer (Stati Uniti, 1997)
 
Il regista Abel Ferrara
Dopo un film finalmente interamente posseduto come THE FUNERAL, che della tragedia greca possedeva la straordinaria energia, l'ineluttabilità della forza del destino - oltre che le estremamente salutari unità di tempo, luogo ed azione - l'imprevedibile Abel Ferrara torna agli antichi vizi. Come sempre, non disgiunti da evidenti virtù.

La storia, se cosi si possono definire le discese agli inferni del biblico Abele, è presto detta: attore da prima pagina, Matty (Matthew Modine al meglio) inciampa nei soliti sesso, droga piuttosto che rock and roll. È che l'oggetto della sua impossibilità di amare, Annie (Béatrice Dalle, laboriosamente impegnata a convincerci di essere il massimo auspicabile in tema di delirio sessuale), gli ha annunciato di avere appena abortito. Non solo: ma le sue sempre più frequenti allucinazioni gli suggeriscono di averla (lei, o una sua sosia in biondo: ma questa è la divagazione VERTIGO del film...) eventualmente strangolata in pieno trip. Il tutto grazie alla compiacenza del tenebroso Micky (Dennis Hopper, che invece in tema perversione è da un pezzo che ci ha detto proprio tutto ciò che volevamo sapere): videasta con improbabile macchinetta video-otto in pugno, autore di alcune fra le sentenze più inedite del film nel genere "lo stupro è la verità a 24 immagini al secondo". E Claudia Schiffer? Fotografata come un wurst asessuato, assiste come può alla disintossicazione del nostro provvisoriamente redento: prima di perdersi con lui, nella intensa sequenza finale, fra le onde gravide ed oscure dell'oceano di Miami Beach.

Raccontato cosi, THE BLACKOUT è un polpettone alla moda: il che è in parte vero. Ma poiché tutto non è mai veramente bianco o nero specie nel cinema a tinte fosche di Ferrara, sarebbe disonesto affermare che il moralismo estetico-dipendente del regista lasci affiorare dall'inquietante rock-tecno ("Miami", degli U2) soltanto la crusca. Sarebbe dimenticarsi di lui come di uno dei più brillanti pittori contemporanei dell'Istante: capace di cogliere la folgorazione sospesa di un'emozione, la fragilità malcelata dalla violenza, la spiritualità che la materia più evidente e volgare finisce per lasciar trasparire.

L'arte della messa in scena non può redimere un progetto zoppicante. Ma può bastare per esprimere l'indicibile: lo smarrimento degli individui in mancanza d'amore. La vanità della fuga: nei paradisi artificiali, come nella futilità di una pseudo evasione estetica.


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